Solstizio d’Inverno: quando la luce vince le tenebre

 

Che i giorni dell’anno non fossero tutti uguali era ben noto ai popoli fin dai tempi più remoti.

L’alternarsi ritmico delle stagioni e la differente durata del giorno in relazione ad esse garantiva il protrarsi della vita sulla terra e l’uomo, che conosceva molto ma non abbastanza del cielo per capirne appieno le ragioni, viveva col proprio astro un rapporto di dipendenza che molto aveva di magico. Il sole, infatti, nasceva e moriva ogni giorno accompagnando le attività quotidiane delle persone che, fin dai primordi, guardavano al cielo e alle sue infinite trasformazioni come si guarda ad un riferimento assoluto, ad un padre o, molto più spesso, alla genesi di tutte le cose. L’ istinto più che la conoscenza guidava l’uomo a riconoscerne ritmi e cadenze, fino al determinare ricorrenze annuali imprescindibili per la vita del proprio territorio. Accadde esattamente questo quando, nell’emisfero boreale, il nostro, le popolazioni antiche attribuirono al Solstizio d’inverno un significato ad oggi tutto da riscoprire.

Certamente non potevano calcolare l’angolazione dell’asse terrestre o conoscere esattamente le ragioni scientifiche del fenomeno, eppure essi vivevano appieno le conseguenze della riduzione delle ore di luce in prossimità delle date comprese tra gli attuali 19 e 23 del mese di dicembre e attendevano il momento in cui queste sarebbero tornate a crescere nuovamente, identificando in questa particolare porzione dell’anno il momento cruciale dell’intero ciclo solare. Quello che sembrava ai loro occhi avvenire era di fatto una sorta di lotta tra tenebre e luce, un momento di drammatico contendere in cui l’astro maggiore, simbolo incarnato della forza della vita, incontrava una sua propria crisi, venendo attaccato dal suo diretto contraltare, il buio, e non riusciva ad averne la meglio se non sfiorando prima la catastrofe di una notte quasi infinita. L’ alba che ne veniva, immediatamente dopo, era quindi la prima per eccellenza, la rinascita, quella che sanciva la vittoria dell’astro come della vita sulla morte, perché da questa in poi le ore di luce del giorno non avrebbero fatto altro che aumentare nelle stagioni a venire, fino alla prossima ciclica fine dell’anno, nello stesso identico modo e con la stessa felice risoluzione. Non è un caso che la data di nascita delle maggiori divinità del bacino del mediterraneo, da Mitra a Cristo, cadesse esattamente in questo periodo, né che in nord Europa sorgessero primitivi luoghi di culto per celebrazioni specifiche.

Gli uomini cominciarono presto a vivere questo momento dell’anno come un decisivo spartiacque della natura e, al tempo stesso, della propria vita spirituale: morire col protrarsi delle tenebre per poi rinascere con un sole che sarà un sole nuovo, un primo sole che sorge il primo giorno di un nuovo ciclo, quello che vedrà le ore di luce aumentare via via sempre di più, vincendo la propria lotta contro il nero. Ancora oggi che tutto questo sentire sembra ormai lontanissimo, in realtà, viviamo invece ancora la magia di questa morte/rinascita nell’attesa stessa del Natale, anche se con le opportune differenze. Non nella pratica religiosa, né tanto meno nella più prosaica rincorsa al regalo, ovviamente, ma nel sentimento dell’attesa di qualcosa che si risolve, poi, nell’ intimo del nucleo fondante della famiglia, al calore dei focolari domestici, vicino ai cari, e con la venuta, in ultimo, del primo giorno di un anno nuovo.